CIAVARELLA
Solo adesso forse ho capito – dopo 50 anni! – che quel quadro segnava il suo saluto dalla realtà. Fino a poco meno che ora lo avevo sempre interpretato come un segnale del disagio profondo nella sua mente; ma non avevo mai pensato che quel quadro fosse quello definitivo, quello in cui lei ha girato le spalle al mondo, come plasticamente visivamente senza ombra di dubbio il quadro, mostra. Io parlavo con Silvana – di persona e al telefono – e mi sforzavo di parlarle senza avere alcuna remora mentale; le parlavo così come si fa con una persona che non ha particolari disturbi o turbe; forse soprattutto volevo farle sentire che per me lei era una amica normale e anche che non avevo alcun intento terapeutico o indagatore, e che mi interessava quello che diceva e che provava. Nell’ingenua mia convinzione che il trattarla così semplicemente con affetto con apparente non consapevolezza del suo disagio pensavo – ingenuamente e lo so adesso quanto ero ingenua – che questo mio atteggiamento potesse aiutarla a guarire. E forse era questo il desiderio della sua mamma: lei soprattutto più che il papà mi chiedeva di stare vicino a Silvana e mi supplicava e io più di così non riuscivo a starle vicino ma certamente la mamma desiderava che io mi dedicassi a lei con più attenzione e con più frequenza. La mamma di Silvana mi diceva accorata: Silvana ha fatto il liceo artistico e poi… E poi un’ombra nera si è stesa sulla sua mente e lei ha disegnato se stessa con il volto ed il corpo rivolti contro il muro; e la sua firma – Ciavarella, il cognome – è in stampatello non ha una identità grafica. Non posso dire di averla abbandonata quando è rimasta orfana di entrambi i genitori che io ho sempre pensato fossero morti di dolore. Dopo che ciò era avvenuto, viveva da sola in Ancona. Ci sentivamo al telefono, lei mi telefonava e io le ho sempre risposto e ho sempre taciuto oppure concordato oppure affettuosamente ascoltato quando mi diceva le cose più astruse che nella sua mente si creavano Però è vero che ad un certo punto ho saputo da lei che le avevano proposto di ricoverarsi in una clinica e non mi ha mai chiesto esplicitamente di andarla a trovare sono io che ho pensato che avrei dovuto e potuto andarla a trovare non l’ho fatto forse perché anch’io stavo avendo a che fare con i miei pensieri nascosti che non erano sereni e temevo non so se un contagio o comunque non avevo la forza di uscire da me stessa per andare incontro a lei e magari aiutarla a vivere gli ultimi mesi o anni della sua vita in modo più sereno La sua diagnosi era di schizofrenia qualsiasi cosa ciò volesse dire.