C’è una parabola, tra quelle tramandateci come facenti parte dell’insegnamento di Gesù il Nazareno, che è terribile e che può suonare, per l’ammonimento che contiene, ancor più sanzionatoria e stimolatrice di riflessione morale di quella, ad esempio, pur grave, (e tra le più note) del “ricco epulone”. La parabola ci presenta l’uomo, assai ricco appunto che, mentre si dedica ad un lauto banchetto all’interno della sua dimora, ignora il misero affamato accovacciato fuori della sua porta, e al quale forse arrivano solo le briciole scartate dal lauto pasto. Non temiamo di considerare l’indifferenza al bisogno altrui un grave peccato, che noi siamo credenti o no, così come probabilmente è vero che si possa essere portati a sottovalutarne altri, di peccati . E ce n’è uno, come illustra la parabola di cui voglio parlare – la parabola dei talenti – che ci viene indicato essere particolarmente grave. La parabola narra di un uomo, un possidente che, nel congedarsi per un tempo non breve dalla propria dimora, affida dei talenti ai suoi dipendenti perchè in sua assenza li facciano fruttare. Al suo ritorno, il signore chiede conto ad ognuno di loro di come abbiano risposto alla sua richiesta. Il primo dice: ho fatto questa operazione e ho raddoppiato il valore, un secondo dice: signore ho triplicato il valore dei tuoi talenti. Il signore li loda calorosamente e li invita a entrare nel suo Regno. Un altro dipendente riferisce: signore, so che tu sei severo, ed io, temendo di non fare cosa giusta, ho seminato nascondendole nel campo le monete; per non perderle. Stolto, gli dice Gesù, vattene da me e vai al fuoco eterno. A questo punto, il lettore e fedele cristiano che legge, si interroga : ma come, come mai tanta severità, non capisco, il fuoco eterno addirittura. Gesù non lo ha promesso per altre manchevolezze morali, in altri gravi contesti e qui invece tanta severità e senza appello! Ci soccorre la interpretazione del priore di Bose ( che abbastanza a sorpresa di recente è stato rimproverato seriamente dal papa Bergoglio, non ne conosciamo la ragione): il peccato grave- egli interpreta, non mancando anche di esprimere una punta di rammarico: (ma come, signore!.. ) è consistito nell’accontentarsi della mediocrità, quindi aver sprecato, per pavidità e inerzia la propria vita. Sì : se il fuoco eterno suona come una condanna incredibilmente dura, posto anche che piace a noi cristiani immaginare un dio non solo sanzionatorio, (pensando Gesù come quel dio) – è pur vero che non possiamo non convenire su una certa antipatia per determinati comportamenti, non possiamo non provare disistima. E poi, perchè negarlo: la parabola ci interroga. Dell’inferno, signore, vogliamo invece parlarne?
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