Ti ricordo, sei stata la mia prima amica; abbiamo avuto la prima biciclettina, uguale e correvamo nel vialetto, credo che fosse il primo giorno che ci avevano tolto le rotelle di sicurezza, quello in cui sei caduta e hai battuto la faccia contro il bordo del giardinetto, così che quel giorno mi è rimasto impresso nella mente, quasi come quello in cui nello stesso vialetto della casa degli zioni a Gualtieri caddi io questa volta all’indietro e battei la testa e la tua mamma mi portò sulla canna della bicicletta dal dottor Tarana, dopo avermi avvolto la testa in un asciugamano. Io però mi ricordo meglio il sangue che ti usci dalla bocca, che spavento, perchè perdesti due denti davanti; il mio sangue non lo ricordo, era dietro la testa. Pinuccia siamo state inseparabili, fino a quando andai a vivere nella grande città e tutto cambiò radicalmente. Però io ogni tanto tornavo e tu eri sempre più bella con quei tuoi capelli nerissimi e il colorito un po’ olivastro, da indiana, come la tua mamma, Pierina. Tu devi avere avuto 11 anni quando cominciasti ad accudire la tua mamma che finì su di una sedie a rotelle, la mente devastata le gambe inutili ormai. Tu fosti per lei tutto, cucinavi la lavavi la tenevi allegra con quel tuo fare scanzonato, ridente, indimenticabile. Quando tornavo, vedevo che nel pomeriggio un giovane ti veniva a visitare. Teneva a mano la sua bicicletta e stava fuori dal cancelletto che dava nel piccolo cortile della tua casa, stava lì e tu dall’altra parte lo ascoltavi. Dopo anni vi siete sposati ed è stato un grande amore, Giuseppe era un uomo buono, fantastico. Avete costruito una casa con giardino poche decine di metri dopo quella dove tu Pinuccia hai abitato col tuo papà Ettore, il socialista l’anarchico, il violento forse, forse io dico. Io ti ho visitata saranno cinque sei anni fa dopo tanto tempo, che emozione; sentivo che mi sentivi distante in un certo modo, che eravamo ed eravamo state molto diverse, che forse di me ti avevano dato nei decenni una idea non rispondente al vero, sentivo e non mi importava. Mi sarebbe importato che tu condividessi nell’intimo con me il ricordo dei primi anni e della biciclettina rossa che ci avevano comprato uguale gli zii ricchi della ittà. Ma mi importava assai di più che ti ho trovato malata , di un male brutto lo stesso che ha colpito tutte le donne della tua famiglia. Tu hai lottato sempre con quel tuo fare coraggioso. L’unica volta che mi apristi il tuo cuore, in uno spiraglio, fu quando dicesti in un soffio parlando del compagno che ti stava accanto che però non c’era paragone con Giuseppe. E ci credo. In qualche modo non hai fatto alcunchè negli ultimi anni perchè il nostro rapporto riprendesse, sentivo che mi sentivi diversa. Non me ne faccio una ragione., e io ti ho voluto e voglio bene! Cosa vuoi che ti dica Pinuccia, io di te ora ho l’ultimo ricordo in una foto nel camposanto. Chi la ha scelta non so sia stato, indubbiamente la hanno scelta bene, sei bellissima e ridente, terribilmente bella e allegra. Eri bellissima e il fratello che aveva trovato a Roma la sua realizzazione artistica e finanziaria un giorno aveva tentato di convincerti ad andare da lui, a mollare il paese, perchè a Roma avresti potuto fare del cinema. Indubbiamente eri bellissima e saresti stata una attrice straordinaria, altrochè nomi famosi che sappiamo. Quello che so è che senza pensarci troppo tu scegliesti di continuare a fare l’operaia li’ a pochi passi da casa, a continuare la tua vita di relazioni semplici, di amicizie, di affetti vicini. Ciao Pinuccia, mi mancano altre parole.