Biografici e autobiografici

Davide nel ricordo.

Non ho mai riflettuto abbastanza mi accorgo, ma ora ecco ne scrivo, sul dispiacere e senso di privazione che Davide deve aver provato quando io, con la mamma, siamo andati via dal paese di G. secondo il desiderio della famiglia P. Può darsi che questi fossero i patti fin dall’inizio, da quando cioè, dopo la morte improvvisa di mio padre a Milano, agli inizi del 1942, in clima di guerra, la famiglia P. decise di allontanarci; e allora stabili che Iole – mia madre -tornasse dove era cresciuta e dove aveva conosciuto il suo sposo, ora così prematuramente e dolorosamente venuto a mancare. Può darsi che i patti, che prevedevano un ritorno alla città dopo la guerra avrebbero potuto – se esistenti in tal senso, come presumo – essere superati da un senso di realtà che si era creata, (io crescendo felice e andando a scuola, mia madre essendo rifiorita alla vita e certo anche desiderosa di tornare ad amare) . Aveva avuto Iole l’occasione di amare e di essere riamata ma la sua relazione era stata stroncata dal divieto. Amaramente rivedo con la mente come sono andati con quasi certezza i fatti: dal paese, la zia informava i parenti P. in città del fatto che Iole era corteggiata, così si decise che avrebbe opportunamente amato il cognato in città. Altri motivi inerenti la mia eredità possono aver giocato un ruolo. Mi fermo ora con la memoria al paese, non affronto il senso, i particolari di quel ritorno alla città, con tutto il suo bagaglio di pianti e di dolore che mi arreco`. Non mi interessa ora, questo; ma appunto mi fermo con la mente laggiù, al paese, dove avrò abbracciato congedandomi tutte le care persone che erano il mio mondo affettivo, senza sapere che non le avrei più riviste. Rivolgo l’obiettivo della mente fotografica sulla figura di Davide, o meglio la cerco. E stento a trovarla Del resto è così anche per le altre figure: del congedo non ricordo nulla. Non ricordo nulla neppure dell’arrivo in città. Sta di fatto che il mio obiettivo è su Davide; che di lui mi importa in modo più forte. E constato come la figura di lui si sia via via sfumata, continuando a consistere come un sentimento di affetto riconoscente inalterato nel tempo, per quei gesti che ricordo di lui che riscaldano il cuore: i giocattoli di legno che mi realizzava, lui privo di una mano per ferita in guerra; la ciotola di latte caldo che la mattina mi poneva davanti arricchita di buon pane che diveniva una pappa di latte dolce; e quando scendeva dalla stanza da letto la mattina tenendomi sulle spalle e mi portava al caldo della cucina. Io credo che, come per me, quelli sono stati anni felici per Davide, credo che sono stata la bambina che nel suo matrimonio non era nata e non sarebbe nata. Credo che Davide abbia sofferto per il fatto che io e Iole siamo state portate via, credo che invano la moglie, Maria la grande, come la ho chiamata una volta, abbia cercato di convincerlo che quella della partenza era la soluzione migliore. Credo che lui non se ne sia mai convinto. Davide è mancato nei primi anni 50, per un tumore. Che col passare degli anni lentamente non abbia avuto notizie di lui,  per averne poi all’improvviso con la notizia della sua morte per la atroce malattia è cosa di cui non mi capacito. Il silenzio nel quale sempre era portato a rifugiarsi non giustifica appieno il silenzio della mia memoria di lui col passare degli anni. Certamente lui si era ritirato ancor più in quel silenzio, nel nascondimento che caratterizzava quella sua personalità dolce umile schiva. Sono certa che poi qualcuno ha creduto bene che non pensassi troppo a lui, e al luogo a cui apparteneva e che era stato anche il mio. Ora, tantissimo tempo dopo, zio Davide mi è passato vicino, questa sera, e mi ha sfiorato con una carezza dicendomi Germana, ti ricordi? 

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