Mi dicevi sconsolata, indicando la pelle cadente in un punto del corpo. Ma guarda qui che roba! In realtà eri – da anziana – bellissima, e quella imperfezione era veramente l’unica, e nascosta. Vedendoti, di te si ammiravano il portamento rimasto eretto ed elegante, quanto non altero, il viso pensoso, serio ispirante rispetto, ma che comunicava nel contempo semplicità nell’approccio umano, e anche modestia. Il viso era singolarmente segnato da più di un solco, come se antiche e più recenti vicende, non comunicate ma vissute dolorosamente nell’intimo avessero voluto imprimersi fortemente caratterizzando lo sguardo comunicando, malgrado la protagonista, antiche fortissime emozioni. Il corpo di Iole era una silhouette e accentuava l’eleganza dell’abito che indossava, sia quando semplice, sia quando di notevole fattura. Le gambe erano esili e non segnate da segni di difettosa circolazione, cosa rara per l’età, in una donna. Di Iole ho scoperto molte cose nel tempo, non abbastanza perché era uno scrigno difficile da forzare. Un giorno ho scoperto che era un’artista della matita. Fu quando la vidi, davanti a me, disegnare un ritratto: era il viso dello zio Davide, ed era bellissimo. Se avessi sospettato che quel ritratto non lo avrei più visto, che lo avrei cercato invano per anni, glielo avrei sottratto subito. Invece, penso che Iole se ne sia disfatta, come di cosa che era stata espressa da lei ma che doveva rimanere solo sua, uno spiraglio di se stessa, altrimenti inconoscibile. E mentre la descrivo ripenso a quella sua attitudine strana di mutilare il suo volto nelle fotografie; cosa inconcepibile dal momento che il suo viso è sempre stato bellissimo fino all’ultima ora del suo giorno.
Iole – Ritratto ad acquarello di Francesco Samorè- anni ’90