di Anna Zenoni
“Noi che abbiamo visto e abbiamo pregato e sperato”
“Abbiamo visto arrivare tanti malati, spesso anziani, angosciati, isolati dal mondo e, soprattutto, dai loro cari. Noi operatori ce l’abbiamo messa tutta per aiutarli, rassicurarli, rasserenarli. A nessuno è mancata una parola, una battuta e, a volte, anche qualche strofa di una canzone dei loro tempi. Un segno di croce, per l’ultimo viaggio. Anche noi del personale sanitario non siamo stati risparmiati… E’ stato un dolore senza confini, straziante….Ma non eravamo soli. In quella notte che sembrava non aver fine, brillava una luce: era Cristo! In lui non perdiamo mai la speranza!”.
In questa toccante testimonianza di un operatore sanitario di una clinica della nostra città, emergono la fede autentica e la carità profonda che nascono dalle pagine del Vangelo e che hanno donato a tanti contagiati dal virus una fioritura meravigliosa di fraternità cristiana o anche semplicemente umana. A cui vogliamo rendere omaggio con questo racconto; che, nella parte finale, ci parla di un’infermiera e di un ammalato di parecchi anni fa. “Medicine” ed esito sorprendenti, come leggerete; e saranno solo loro due i protagonisti? Siamo nel dicembre del 1923, in valle di Scalve, pochi giorni prima di Natale. Ettore Bonaldi è un ragazzino di otto anni di Schilpario, che oggi, con alcuni fratelli più grandi, ha avuto finalmente il permesso dai genitori di recarsi a piedi a un paese poco lontano, Azzone, per guardare dall’alto quello che già tutti chiamano “il disastro del Gleno”: un lungo solco di distruzione e di morte con cui la nuova diga, là in alto, squarciandosi il 1°dicembre all’improvviso, ha segnato per sempre la valle, mentre la furia dell’enorme massa d’acqua travolgeva case, uomini, animali. Vita. Il fiume ora scorre tranquillo, giù al Dezzo, e ha trovato una nuova strada in mezzo a macerie, massi, tronchi, fango…I ragazzi guardano ammutoliti …..SEGUE