Mi ricordo quando, decenni fa, sentii pronunciare per la prima volta la parola shopping ; è singolare come mi sia rimasto impresso anche fotograficamente quel giorno; ero una bambina, avrò avuto otto, nove anni; vicino c’era la zia Carla e forse quella parola nuova la pronunciò lei, oppure la lessi o ascoltai alla radio. Se fu zia Carla a pronunciarla, non la ricordo esultare tuttavia come quando la avevo sentita esclamare con gioia che era arrivato in commercio un detersivo: Ava bucato. Comprendo a distanza quella esultanza, fino ad allora cosa si usava, il sapone di marsiglia, la cenere? Mi sfugge. Quindi non accuserò Ava bucato di essere il capostipite del consumismo quanto invece lo è stato l’avvento di shopping . Non ci sono dubbi al riguardo. Immagino che da quando quella parola magica si diffuse, nelle riviste femminili, alla radio… si cominciò a pensare che il passatempo più ambito e all’avanguardia era diventato uscire muniti di portafoglio per comprare cose. Quindi si cominciò (almeno chi poteva farlo) a gratificarsi con l’atto dell’acquisto inteso come motivo principe dell’uscire: si va a fare shopping. Non so se sono troppo ipercritica, ricordando. Certo, fino a quel momento le cose erano andate diversamente: non si considerava l’atto del comprare come attività gratificante frequente. Per quanto riguarda l’abbigliamento (e solo per citare questo aspetto!) andava nel seguente modo: si avevano il soprabito leggero e il tailleur e camicette e golfino per la primavera; non si cambiavano di solito ogni anno. E per l’ estate c’erano gli abiti e le gonne leggere, massimo un paio, e, tra questi, un abito più elegante magari per la sera e una giacca leggera; poi i sandali. Per eventuale vacanza al mare il costume da bagno intero con il doveroso copricustume a gonnellina; per la montagna magari calzoncini e scarponi per la passeggiata. Avvicinandosi l’autunno, uscivano dall’armadio il tailleur e il soprabito e le prime scarpe non ancora di para. I sandali erano già archiviati; A novembre si verificava lo stato del cappotto pesante ed eccezionalmente si decideva di farsi confezionare dalla sarta un cappotto nuovo o un giaccone tre quarti o sette ottavi. Tutti questi oggetti non venvano cambiati ogni anno, di solito, come può accadere adesso; veramente neppure ogni due o tre si cambiavano. Ci si concedeva qualche acquisto qua e là nel corso dell’anno, magari trovandosi in luogo di vacanza, qualcosa che ricordasse quel soggiono; qualcosa di carino, o tipico del luogo. Mi ricordo tante cose, la cartella di scuola di pelle che durava per tutti gli anni. Mi ricordo i giochi sulla via, le corse in pattini a rotelle. Mi ricordo il pollo la domenica, il pancotto con il pane raffermo. Mi ricordo quando molto cominciò a cambiare negli anni Cinquanta.