Compito dello scrittore è raccontare storie. Sembra ovvio. Ma raccontare storie non è facile e credo sia possibile quando chi scrive si è liberato dalla tentazione ossessione di scrivere di sé. Creare storie significa porsi nella disposizione creativa di divertire gli altri – nel segno di divergere, uscire dalla realtà. Le storie che si possono creare sono infinite e rimane solo il dubbio se un metodo sia quello di lasciar correre la penna in una specie di scrittura automatica, lasciando che l’esercizio ginnico della mano su penna o su tasti stimoli il pensiero, senza avere cioè pensato un percorso, una trama; o se invece sia l’idea che deve guidare l’esercizio della mano sulla carta o sui tasti. Un esempio del primo tipo è quello che sto facendo io adesso: ho deciso che dovevo comunicare che compito dello scrittore è raccontare storie, intrecci e ho deciso di cercare di motivare, spiegare, rendere accettabile anche a me stessa questa convinzione; per far questo ho cominciato a scrivere solo perché sentivo che era la cosa che dovevo fare stamattina, un’ora fa. . Creare storie: alcuni tentativi li ho fatti, abbozzi di storie, quando ho fatto dei ritratti. Sviluppare la storia di uno di coloro cui il ritratto abbozzato appartiene sarà mio compito. Poi vorrei anche divertirmi e divertire; se uno scrittore come lo intendo io, cioè un buon raccontatore di intrecci è già da applauso, uno scrittore umorista è il massimo. Sono pochi i libri umoristici. E’ veramente un esercizio difficile. Poi ci sarebbero le fiabe. Le fiabe piacciono a tutti, non solo ai bambini. E ci sarebbe la fantascienza, il massimo esempio di divergere dalla realtà (è forse la fantascienza la fiaba per i grandi)? Poi, si potrebbe creare con la scienza vera e pura. La scienza attuale ha degli aspetti così sorprendenti che potrebbero dovrebbero consentire di intrecciare storie fantastiche; un esempio già abbastanza conosciuto e su cui alcuni scrittori di sciencefiction si sono esercitati è l’argomento viaggi nel tempo. Uno ancora non molto visitato è l’argomento universo parallelo e nostra identità parallela che vivrebbe in un’altra dimensione; e magari da quella ci separa un diaframma neppure troppo difficile da fara crollare, e noi ancora non lo sappiamo. Riuscire ad esempio a unire le noste due realtà, in questo mondo e in quello parallelo potrebbe costituire il raggiungimento della perfezione della nostra personalità. E’ arrivato il momento di tirare le somme, almeno per stamattina. O forse no. Non vorrei aver dato la impressione di svalutare ogni forma di autobiografia o di introspezione (ecco un altro bell’argomento: la introspezione, la scrittura introspettiva). Sull’autobiografismo sono in teoria sempre stata severa e quando nel 1998 un giorno mi sono messa alla macchina da scrivere nella stessa disposizione di stamani cioè con il desiderio puro e semplice di scrivere parole, ho deciso dopo poche righe che un autobiografismo avrebbe avuto un senso solo se inserito in una corale autobiografia: scrivo e in questo momento, oggi sta accadendo qualcosa fuori. Io sono in quel contesto, non ha significato altrimenti. E in quel caso, nel 1998, fuori si stava preparando una guerra: una delle tante motivate da presunte pistole fumanti.
autobiografia come selfie; viva il racconto, la narrazione, oltre il sè. Stiamo dietro la maschera, pirandellianamente; se poi la maschera è gradevole, ancor meglio;-)