Ada si presentava sorridente per la colazione dopo essere stata in bagno ed essersi tolta di dosso i segni del sonno: non ricordo una mattina che il suo viso fosse più serio, o stanco, o imbronciato magari per una notte difficile, come a tutti capita di avere. Si informava della nostra salute e benessere, non diceva di suo eventuale malessere lo avremmo scoperto poi se fosse stato; ci chiedeva quali programmi avessimo per la giornata. Da parte sua, ella aveva già pronti i colori ad olio per dipingere, lo faceva spesso su occasionali fogli di cartoncino, non spendeva di solito per acquisti di cartoleria o disegno, risparmiava. Il senso del risparmio lo aveva ereditato dai tempi di guerra e dai sacrifici e privazioni di quei giorni; e sono giunti a noi graziosi disegni a matite colorate o a inchiostro. I suoi biglieti di auguri, fosse per un anniversario o per le Festività, erano da lei disegnati e costituiscono un ricordo perenne della sua gentile attenzione verso i suoi cari. Se non si apprestava a dipingere è perchè Ada aveva in corso la confezione di un ricamo o di un lavoro a maglia o a uncinetto, pensato come futuro dono, sia che le fosse stato richiesto, sia che ella volesse dedicare un giorno a qualcuno dei suoi. Quel giorno, poi, forse si sarebbe dedicata alla corrispondenza con i parenti vicini e lontani; la sua agenda era fittissima di indirizzi, non dimenticava nessuno. Un giorno, dopo la sua partenza da questa vita, cominciai a scrivere
inizio del diario di Ada.
“Ormai ho deciso! Voglio scrivere la mia vita; perché è stata bella e lunga – anche se triste verso la fine. Dunque = sono nata a Genova nei primi due anni del secolo (XX°)..in quella piccola via Caffaro, dove il nonno B. aveva costruito la casa e il bel teatro Paganini, ormai distrutto. E’ una via tutta in salita, che parte dal vecchio centro della città. Dove comincia, c’è una vecchia pasticceria: lì si comprano le famose torte “sacripantine” fatte di crema e marzapane; mi piacciono molto e sono una specialità genovese. In quella via c’era, tanti anni or sono, anche un negozio di ortolano, che gestiva la nostra ex domestica – già sposata, ora, con un figlio oculista, a Milano. Mi pare si chiami B.
Si è costruita una villetta al suo paese natìo, là sopra Ronco, su al Casale, frazione Banchetta, dove vivono tuttora isuoi fratelli e dove noi – cioè io, con papà e mamma e mia sorella, passavamo due mesi estivi ed autunnali in unaminuscola casetta, lassù, sul monte, dove c’’era solo una chiesetta e due o tre case di questi contadini. C’era anche una trattoria all’insegna dei cacciatori, tenuta da uno di costoro. Tutti erano gente semplice, onesta e pulita. Avevano una bella stalla, vicino alla loro casa, con quattro belle mucche. Passai con loro – a quattro anni – un mesetto, per curare la tosse canina. Ricordo le loro buone minestre al latte e la polenta a fette abbrustolita sulla brace e il buon burro che vedevamo crescere nella zagara, col bastone che andava su e giù. Ricordo il profumo del buon pane di grano, belle pagnotte cotte nel forno a legna, che erano buone tutta la settimana; e poi, a sera, c’erano le taglioline al latte e c’era il chiaro di luna.. Poi a nanna nel lettone grande, col materasso di foglie di granoturco che scricchiolavano ..ed era soffice soffice.. Al mattino, bevuto quel buon latte appena munto, si andava su per il monte, con le mucche, che portavamo al pascolo, guidate dal giovane contadino. Era un ragazzone, con grandi occhi neri e capelli corvini, tutti arruffati sulla fronte. Ognuno di noi portava il suo bastoncello e si andava su, su, verso il sentiero. Si coglievano i fiori che ornavano i prati , sempre verdi e rasati. Facevo anche collezione di sassolini ,colorati e luccicanti. Coglievamo tanti bei fiori e foglie, che mettevo a seccare e fragole e mirtilli; oppure, più tardi, le nocciole. Assaggiavamo anche i cardi selvatici e le mille erbe mangerecce. D’autunno, poi, c’era il bosco di castani dove si raccoglievano le castagne oppure i funghi. Che mangiate, dopo! In quelle belle giornate di sole salivamo su fino alla casetta della collina: quando sedevamo lassù, in quel colle, si contemplava tutta la cerchia degli Appennini, ritagliati sul cielo azzurro e, sotto sotto, un mare di nuvole che coprivano la valle e il parco di Ronco. A mezzogiorno suonavano le campane..din don dan: era il segnale del ritorno a casa, dove ci aspettava la mamma e una golosa colazione. Quanto appetito! E che gioia sedersi al tavolo dopo la discesa a rotoloni giù per i prati, tutto di corsa fino a casa! “.
Quando, a sei anni, cominciai ad andare a scuola, all’ “Andrea Doria”, che c’è ancora, mi presi subito la scarlattina; allora non c’erano ancora la penicillina e gli antibiotici, perciò la febbre saliva, saliva..le pezze bagnate sulla fronte e la mamma sempre trepidante al capezzale..il medico che veniva mattina e sera a visitarmi. O la nonna o la zia, al capezzale, mi leggevano tante belle favole. Non potevo più giocare o avere la compagnia di mia sorella, che doveva star lontana dalla malattia contagiosa. Ma non la prese, dato che la mamma usava un grembiulone e tutte le precauzioni necessarie al caso. Ricordo il forte odore di acido fenico…! La mia mamma era una donna straordinaria: aveva tanta dolcezza ed era severa al tempo stesso; una carezza ogni tanto o uno sguardo serio, servivano a farci ubbidire immediatamente, con gioia, conscie del nostro dovere.”……..
Il diario di mamma Ada inizia un giorno imprecisato – probabilmente degli anni ’80 – e mi si è rivelato il giorno in cui, qualche mese fa, ho sfogliato le carte che ci aveva lasciato; in una agenda del 1984 , Ada aveva iniziato ad annotare piccoli eventi qua e là per poi iniziare, un giorno, a raccontare…Scrivo un piccolo brano, l’inizio della storia, che sto trascrivendo; vuole essere un omaggio a lei, splendida Ada, mia suocera!
IOLE
si presentava sorridente, quale che fosse stata la notte: non ricordo lamentele la mattina, ricordo un suo sorriso e la freschezza che emanava la sua figura. Era una donna bellissima, era stata splendida durante la giovinezza e la prima maturità. Alcune sue foto mostrano una figura incantevole. Anche di lei ricordo il saluto mattutino, quando capitava mi trovassi con lei anche dopo essere uscita di casa. Anche di lei ricordo che informarsi di come stessi era il primo saluto. Iole è stata una ragazza fino alla fine dei suoi giorni, come Ada. Un giorno, decisi di scrivere di lei e della famiglia…
Storie della famiglia Cavazzana
È l’8 marzo 1998 quando mi reco da mia madre, in via Bronzetti a Milano, portando con me i primi appunti stesi dopo avere conversato con lei – giorni addietro – della sua vita: il suo innato riserbo, la sua innata riservatezza – che non sono mai stati superbia, ma pudore dell’intimità avevano – quel giorno – lasciato spazio al racconto di sé. Iole vedo che approva quanto ho scritto – non molto fino a quel punto, e ci tengo che confermi bene le date, i nomi; e talora ci sono incertezze inevitabili. Il frutto del nostro dialogo, che ancora ho presente nella mente come fosse ieri, quel dialogo condito di un po’ di commozione e di allegria in certi momenti (perché mia madre aveva una freschezza e una giovinezza di spirito che me l’hanno fatta sentire giovane fino alla sua ultima stagione), il frutto del nostro dialogo lo condivido. I ricordi possono essere suscitati da una foto o da un nome o da un particolare della narrazione; insieme possono costruire una storia che consegnamo a noi e ai nostri figli, se avranno voglia di leggerli. E di solito non manca, ce n’è di solito almeno uno, che in una famiglia sente il desiderio di cercare le radici.