Diana era lì, sdraiata nella culla dell’inconscio nella profondità del sogno, era lì nel luogo fisico noto, avvolto in bagliori azzurri di suggestioni antiche, in alone azzurrino di neve che cade, in spazio tempo indefinito dove la voce arriva amplificata e le sensazioni rabbrividiscono di centuplicata intensità.
Nel profondo della culla, Diana dorme avvoltolata davanti ad una soglia di casa grande, casa fattoria, albergo, rifugio e davanti è la strada, che a destra svolta verso l’ignoto e a sinistra verso un altro ignoto, ma che si prolunga verso una villa e poi verso la campagna.
Di fronte invece è il giardino e tutto è molto grande, così come Diana appare piccola e insieme struggentemente grande, illuminata come da riflettori, in primo piano. Magica è l’atmosfera. È silenzio, ma ad un tratto un grido, sono io che grido: Dianaaa, Dianaaa, dove sei? Mi vedo correre alla finestra di una casa sconosciuta e scoprire che dal cielo comincia a cadere una cosa che sembra neve ma non è ancora neve, è troppo sporca.
Ritorno verso il luogo dell’inconscio e cerco ancora lei che non c’è più, e al suo posto ci sono brandelli di presenza, segni di assenza, di lotta, di passaggio. Tutto è immutato intorno, il silenzio, l’alone azzurro, il brivido ma lei non c’è, se n’è andata. Io ero lì con lei ed ora non sono più lì neppure io, il sogno se ne va, lascia un alone azzurro e un brivido.
Nella culla dell’inconscio Diana dormiva tranquilla, consapevole della presenza della casa rifugio alle sue spalle, poi il primo agguato l’ha svegliata, e me con lei. Sono fuggita e con lei mi sono persa. L’alone che il sogno lascia intorno non stempera subito le sensazioni di piacere e dolore evocati dal ricordo del luogo magico del passato, del più profondo passato, di una profondità tale per cui lì vita, pensiero, inconscio, speranza, io non-io, futuro, passato… si incontrano.
Era un sogno e ora mi confronto con lui, era uno di quei sogni che senti di dover afferrare, puntare con gli spilli perché non scappi subito. Ed io mi ci sono avventata contro a questo sogno, rompendone forse la trama leggera. Eppure sono riuscita a scalfirlo poco, anche se non credo di aver fallito nel fissarlo sulla carta, nella memoria, nel farlo mio. Mi domando se sia lecito violentare un sogno sezionandolo.
Ma ero io quella Diana o non lo ero? Materia per analisti. Lei mi zampetta intorno. Chissà se ha sentito il mio grido, ammesso che il grido sia uscito. Chissà se anche lei ha un luogo culla dell’inconscio, nella sua condizione di piccolo animale.
Germana Pisa